Il vero miracolo economico italiano

Gli anni 80 spesso vengono ricordati come un’era caratterizzata da una crescita economica nel nostro Paese senza precedenti, al punto di giungere a parlare di generalizzato benessere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In realtà, ad opinione di chi scrive, il processo che si è sviluppato ha prodotto un boom subdolo perché costruito su basi fragili, nel senso che i presupposti per lo sviluppo registrato sono stati creati in ambito non economico bensì politico, facendo ricorso ad uno strumento che i manuali di macroeconomia definiscono di deficit spending, compiendo, in sostanza, disastri il cui effetto è stato di privare del proprio futuro le più recenti generazioni.

I governi italiani in carica in quel periodo storico crearono le condizioni per uno sviluppo che, perché effimero, può definirsi illusorio, dal momento che si è proceduto aumentando la spesa pubblica nella convinzione fallace di suscitare stimoli capaci di invogliare un progresso duraturo, sortendo, all’opposto, l’effetto di generare un miglioramento nelle condizioni di vita della gente esauritosi velocemente, finendo per aprire una pericolosa spirale che ha prodotto l’enorme debito pubblico attuale, causa di una forte contrazione nei margini di manovra consentiti alla Politica nel tentativo di combattere la spaventosa congiuntura economica avversa dei nostri tempi.

Decisamente di più consistente portata può giudicarsi l’espansione manifestatasi a partire dalla metà degli anni cinquanta e proseguita per buona parte dei sessanta.

Le fondamenta che ne sono state alla base si sono formate in campo economico, senza il contributo di impulsi esogeni, circostanza questa che ne ha garantito la robustezza e solidità, entrambe necessarie perché se ne potessero cogliere benefici di lunga durata.

Per amor di verità, occorre dire che la descritta evoluzione è stata fortemente favorita dal processo di metamorfosi che interessava l’Italia in quegli anni, un Paese dalla spiccata vocazione agricola che si avviava verso un’industrializzazione di enormi dimensioni, per cui gli spazi perché si realizzasse quello che da più parti veniva definito come un miracolo economico erano molto ampi.

A conferma di ciò, si consideri che fu proprio il settore manifatturiero a determinare il maggior incremento nel Pil, quale conseguenza del raggiungimento di livelli mai toccati prima in grandezze macroeconomiche quali gli investimenti, l’occupazione, il valore aggiunto della produzione.

Ad agire da volano fu l’industria automobilistica, in primis la Fiat, che riuscì quasi a raddoppiare il numero delle auto prodotte in pochi anni, ma anche nel comparto dei beni di consumo durevoli, quali frigoriferi, lavatrici, televisori, i ritmi di lavorazione si erano notevolmente accelerati.

Cominciano ad affermarsi sui mercati anche internazionali prestigiosi marchi italiani, come Olivetti, Montecatini, Pirelli, mentre l’Eni stipulò uno storico accordo con l’Iran per l’estrazione del greggio attraverso una società in compartecipazione, consentendo all’Italia di ammorbidire la sudditanza dalle cosiddette sette sorelle del petrolio ossia le principali compagnie petrolifere multinazionali, così chiamate dal compianto Enrico Mattei.

A ricoprire un ruolo propulsivo fu l’Iri, la cui azione strategica fu determinante nei settori della cantieristica, della metalmeccanica, dell’impiantistica, della telefonia e, specie, della siderurgia.

Mentre nella fase iniziale le maggiori opportunità di ampliamento produttivo derivarono dalla necessità di rispondere ad una sempre crescente domanda interna, dalla fine degli anni 50 anche le esportazioni iniziarono ad esercitare un forza trainante, favorite dall’offerta all’estero di prodotti contraddistinti da un importante valore innovativo, nonché da una vincente competitività degli stessi generata da una considerevole produttività oltre che dalle economie di scala e dalla relativa stabilità dei prezzi delle materie prime, il vero fattore chiave di successo per un’economia votata soprattutto alla trasformazione qual è quella italiana.

La lettura, assolutamente personale, che ci si sente di dare a quanto avvenuto nella storia dell’economia italiana è pesantemente influenzata dalla condivisione dei principi che hanno espresso il pensiero di uno straordinario studioso quale fu Keynes, secondo cui sarebbe auspicabile un intervento dello Stato nell’economia solo allorquando non si attivano quei meccanismi che in automatico ne consentono il raggiungimento di un equilibrio.

Ciò vuol significare che il mercato deve poter autoregolare i propri processi di miglioramento, favorendo la ripresa in tutte le variabili macroeconomiche, laddove un’azione da parte del soggetto pubblico dovrebbe realizzarsi solamente a supporto, allo scopo di combattere le possibili fasi di flessione.

Così operando ci si garantirebbe una crescita radicata e prolungata.   

La realtà economica presente, tuttavia, palesando incapacità sia di contrastare autonomamente il negativo trend in corso che di reagire a spinte indotte, magari scarse a causa di finanze pubbliche languenti, dimostra che i modelli economici rappresentati dai guru del settore possono rivelarsi pure congetture teoriche adatte a spiegare fenomeni superati, ma poco adeguate a consentire di correggere correnti andamenti per nulla favorevoli.    

 

Michele Monteforte                       

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