L’arduo compito di decidere

Appartiene al notorio che chi occupa posizioni di vertice all’interno di qualsivoglia organizzazione aziendale, più o meno complessa, vive uno stato di stress perché costantemente chiamato a prendere decisioni, talvolta anche delicate, dal cui esito può dipendere il futuro delle persone coinvolte o addirittura dell’azienda nel suo complesso.

Questa condizione mentale, tutt’altro che confortevole, è determinata dall’elevato grado di incertezza che contraddistingue la vita imprenditoriale e viene acuita laddove gli scenari futuri acquisiscono una più accentuata opacità, come accaduto durante la pandemia da covid 19.

Siffatti eventi incidono pesantemente sullo svolgimento del processo decisorio proprio per effetto della derivante visione offuscata sul domani, con conseguente accresciuto timore di fallire la giusta scelta, il che induce ad una straordinaria ricerca di ulteriori informazioni e ad una sempre più approfondita analisi delle stesse.

Questo nuovo modello decisionale presenta l’inconveniente di poter condurre alla paralisi qualora si esasperi nell’approfondimento, nell’attenzione ai dettagli, nel ricorso alla prudenza nel ponderare ogni aspetto interessato e ciò è plausibile specie nei soggetti più sensibili a cogliere i cambiamenti a livello macro e non solo.

Sebbene il dubbio possa, entro certi limiti, agevolare l’individuazione della migliore decisione, elevarlo ad uno stadio patologico si rischia di trasformarlo in insicurezza invalidante, in pericolosa inerzia o, ancora, in improduttivo rimando, che nell’ipotesi più ottimistica significherebbe semplicemente spostare in avanti il momento della scelta.

Un possibile rimedio ad una simile situazione-trappola potrebbe essere di rinunciare a rincorrere l’utopico perfezionismo, il quale produce la fuorviante convinzione che, mancando la mossa giusta, ammesso che esista, la sorte inevitabile non potrebbe essere che quella del fallimento, negando, erroneamente, la possibilità di assumere decisioni che abbiano impatti comunque positivi, pur nella consapevolezza di non poter accontentare tutti.

Altra soluzione sarebbe di assegnare alla problematica che si sta affrontando la corretta importanza e ciò perché non tutte le questioni meritano di essere sviscerate usando la massima dose di premura di cui si è capaci.

Infine, non si può non menzionare l’espediente della delega, cui ricorrere proprio per quelle deliberazioni che hanno ad oggetto argomenti meno rilevanti, che assolutamente non rappresentano priorità.

Concludendo, il management, in aggiunta alle conoscenze, alle competenze, nonché al bagaglio di esperienze a cui attingere affinché si dimostri all’altezza di guidare adeguatamente un’azienda, deve sviluppare la capacità di gestire la complessità, quale requisito imprescindibile.    

 

Michele Monteforte

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