L’evoluzione dei Sistemi Economici: Riflessioni

Lo studio della storia può essere condotto focalizzando l’attenzione sui diversi aspetti che hanno caratterizzato la vita dell’uomo, che ne rappresenta sempre e comunque il focus, ovvero su uno qualsiasi in funzione dell’interesse perseguito.

Conserva in modo costante la sua attualità l’approfondimento delle regole che hanno governato il funzionamento dell’economia nelle varie epoche e, dunque, delle corrispondenti società.

Lungi dall’intento di proporre una ricostruzione cronologica, partendo dall’antichità, passando per il Medioevo e per l’Età Moderna, fino ad arrivare all’Età Contemporanea, sottolineando il passaggio da un’economia agricola – artigianale ad una fondamentalmente industriale, ciò su cui ci si vuole soffermare è la contrapposizione tra i due (il terzo ne rappresenta un combinazione) principali sistemi economici che si sono affermati nel corso del XX secolo, contrasto che costituisce l’espressione più utilitaristica dell’opposizione tra le più rilevanti concezioni ideologiche circa l’organizzazione della politica e della società in generale e dell’economia nello specifico.

Un primo modo di concepire l’economia rimanda al sistema collettivista basato su un’economia pianificata, in cui la gestione delle dinamiche economiche e di mercato compete unicamente allo Stato, dove non si riconosce la proprietà privata e dove si prevede solo la proprietà collettiva dei mezzi di produzione. Si tratta, in effetti, di una concezione che rispecchia il pensiero marxista sull’opportunità di una società comunista.

Si contrappone il sistema liberista o capitalista, condannato da Marx, che promuove l’economia di mercato la quale presuppone l’interazione degli operatori economici privati, con un ruolo dello Stato limitato alla gestione di particolari funzioni non delegabili, quali sanità, istruzione, ordine pubblico, giustizia.

Considerando che il crollo verificatosi nel corso del ‘900 di molte economie, come quelle dell’Europa dell’est, gestite ispirandosi ai principi collettivisti dimostri che il sistema basato sull’ideologia marxista è solamente teoria, è superfluo sottolineare come, a parere di chi scrive, il comunismo rappresenti un sistema economico, appunto, ideale, quindi, utopico e, si aggiunge, ingiusto nel momento stesso in cui viene mortificata la libertà di iniziativa economica, che va riconosciuta a tutti.

Ciò non implica che il sistema liberistico – capitalistico sia perfetto, che non si renda  necessaria una regolamentazione da parte dello Stato che sia seria e rigorosa, così da garantire la possibilità di intraprendere un’avventura imprenditoriale a chiunque ne abbia l’ambizione, nell’ambito della quale l’impresa sia agevolata nel perseguimento dei suoi obiettivi e il lavoratore tutelato nei suoi diritti, perché venga arginata ogni occasione di disfunzione, alterazione o anomalia tale da snaturare i reali meccanismi che ne costituiscono i necessari presupposti, come accaduto, ad esempio, quando si è consentito che il potere finanziario prendesse il sopravvento persino su quello politico, dando vita ad una, per così dire, sottospecie del capitalismo, qual è, appunto, il capitalismo finanziario, all’interno del quale la ricchezza reale e condivisa lascia il posto alla speculazione e all’arricchimento di pochi.

Ecco che acquista importanza una soluzione di mezzo tra il sistema collettivista e quello liberista che prende spunto dalla teoria keynesiana, in cui si riconosce la libertà d’impresa e, contestualmente, lo Stato interviene, come prima auspicato, a regolamentare il funzionamento del sistema economico e a supportare la produzione e l’occupazione.

Questa sembra essere la ricetta giusta per un sistema che si regga in piedi e, malgrado le crisi dimostrino che qualche falla esiste, si ritiene che la causa vada ricercata proprio in una regolamentazione scarsamente attenta e severa che ha reso possibili i pericolosi deragliamenti registrati.

Il superamento della idea marxista focalizzata sulla dicotomia capitalismo – proletariato è decretato anche dalla letteratura manageriale che incita all’adozione di logiche di gestione delle risorse umane orientate al coinvolgimento, alla condivisione, alla creazione di ambienti giusti, allo stimolare il senso di appartenenza, in modo da consentire ad ogni membro dell’organizzazione di esprimersi al meglio in vista della creazione di un valore che sia di tutti.

A ciò si aggiunga che la stessa figura dell’imprenditore ha vissuto nel corso degli anni una radicale trasformazione.

Si pensi che, subendo gli effetti che investirono l’intera società, si diffonde a partire dagli anni sessanta del XX secolo un’immagine manichea della ricchezza, di colui che persegue unicamente il proprio arricchimento personale, in spregio ai diritti di chi gli collabora.

Tuttavia, col passar del tempo riesce ad affermarsi una figura diversa ed emerge l’importanza del ruolo che l’imprenditore svolge con la sua organizzazione per la società. Il profitto diventa non più uno scopo bensì uno strumento, ben consci che senza profitto l’impresa non sopravvive.

Ogni impresa, per il solo fatto di esistere, assume una responsabilità sociale per i vantaggi che offre al tessuto territoriale in cui è inserita in termini di lavoro, formazione, benessere.

Non si ha la presunzione o l’ingenuità di credere che ciò è quel che succede in riferimento ad ogni realtà imprenditoriale, ma si è convinti che questo sia il modello a cui ispirarsi perché equo e funzionante.

 

 

Michele Monteforte                      

 

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