Legge sugli stadi: un’altra occasione persa

Speranza e ottimismo di avere anche in Italia strutture sportive all’altezza di quelle europee hanno fatto da padroni fin quando il relativo provvedimento che ne prevedeva l’ammodernamento è stato stralciato e non più inserito nella Legge di Stabilità.

 

 

 

 

 

 

 

Ecco che è subentrato lo sconforto e con esso la delusione per non aver posto fine, almeno per il momento, all’arretratezza delle infrastrutture di cui dispone lo sport italiano, a causa della quale si “rinuncia” a maggiori introiti stimati in un miliardo di euro ogni anno.

Volendo approfondire l’analisi e soffermandosi sul settore calcio, eccezion fatta per Juventus e Udinese, la nostra Serie A, a differenza delle più competitive Leghe europee, registra un ritardo di circa 750 milioni di euro l’anno per non essere riuscita a rinnovare i propri stadi.

A livello di sistema economico generale la perdita assume proporzioni più spaventose se si considera il mancato effetto propulsivo che si sarebbe avuto sull’indotto, a cominciare dal comparto edilizio.

Con l’articolo di legge prima emendato e poi accantonato, a cui si è fatto riferimento, era stata prevista una procedura parecchio semplificata e, quindi, snella che avrebbe consentito a tutte le Federazioni di realizzare ex novo o ristrutturare impianti in tempi rapidi, facendo ricorso a modelli di project financing basati sul sistema delle compensazioni immobiliari, nel senso che il progetto doveva prevedere la costruzione di uno o più impianti sportivi nonché la realizzazione di insediamenti edilizi o di interventi urbanistici, anche non contigui ma funzionali al conseguimento dell’equilibrio economico e finanziario complessivo, appunto secondo le regole della finanza di progetto che prevede una forte partnership tra pubblico e privato.

A questo punto rivive una speranza, non più quella di colmare il gap che ci rende scarsamente concorrenziali sui campi europei, ma prima ancora quella che quanto è stato ora bloccato possa ripartire, così da poter fruire di strutture non più vetuste (si pensi che gli stadi di Serie A hanno un’età media di 63 anni).

Per avere un’idea approssimativa ma molto indicativa di cosa voglia significare in termini di numeri l’obsolescenza in cui versano le strutture impiantistiche italiane si può prendere spunto dalle esperienze inglese e tedesca per stimare che il rinnovamento degli impianti determinerebbe un aumento degli spettatori del 40%, il che significa un incremento nelle casse di circa 6 milioni.

A ciò si aggiunga che, a fronte degli elevati standard qualitativi raggiunti nei servizi resi, nell’organizzazione delle strutture, nonché nei sistemi di sicurezza, si giustificherebbe un aumento nel prezzo dei biglietti, con evidenti ricadute positive sugli incassi ai botteghini quale conseguenza, appunto, sia dell’aumento degli spettatori che del più alto prezzo medio dei tagliandi di ingresso, calcolando il volume d’affari in euro 180 milioni circa.

Altra voce importante che si affiancherebbe a quella derivante dalle vendite legate agli accessi allo stadio fa riferimento ai consumi del match – day, il cui fatturato, sempre grazie alle opere di ammodernamento, potrebbe oscillare tra gli 80 e i 125 milioni di euro. Si tratta della gamma di servizi che si accompagnerebbero al prodotto calcio, si pensi alla ristorazione e allo shopping.  

Un business di circa 350 milioni deriverebbe, poi, dalle attività connesse con la corporate hospitality e gli sky box quali potentissimi strumenti di public relations messi a disposizione di aziende partner che all’interno dello stadio potrebbero organizzare momenti di intrattenimento a pranzo o a cena prima della partita, regalando ai propri ospiti emozioni indimenticabili in un clima da suite reso unico grazie ad un arredamento raffinato, dove poter usufruire di un catering di prima scelta e disporre delle tecnologie più avanzate, oltre a potersi servire di un comodo desk per meeting e riunioni, assistiti da hostess e stewart dedicati altamente qualificati.

È così che si riesce a coniugare lo spettacolo del calcio ai rapporti di affari, per cui la partita diventa solo una delle componenti dello show.

L’imprenditoria italiana del calcio ancora non ha sperimentato, come succede oltre confine già da tempo, un’ulteriore iniziativa commerciale fonte anch’essa di considerevoli entrate, qual è quella del naming rights, che a livello europeo ha generato risorse finanziarie per un importo complessivo che si aggira sui 100 euromilioni.

Poter contare su complessi multifunzionali all’avanguardia che consentano una congiunta e sinergica gestione di più business, allarga il ventaglio di opportunità correlate con la loro fruizione anche nei giorni in cui non è in programma nessuna partita, con il risultato di moltiplicare le occasioni di marketing, traducendo il tutto in un arricchimento dei club che ne detengono la proprietà.

Il presente articolo è ispirato, come detto, guardando a quanto succede in Inghilterra o anche in Germania, pertanto l’auspicio è che si possa raccontare di queste iniziative parlando del calcio italiano nel suo complesso e della sua capacità di svoltare, rimettendosi in linea e recuperando la competitività di un tempo.      

   

Michele Monteforte                       

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