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L'uso dell'empatia nella gestione del team
In ambito aziendale, ovviamente non solo, a chi, per la posizione ricoperta, coordina un numero più o meno alto di persone è fatto obbligo di gestire in modo empatico le relazioni, appunto, con le proprie risorse umane.
Ciò implica di sviluppare una spiccata capacità di leggere le altrui emozioni e comportarsi di conseguenza, anche in vista del rafforzamento del senso di squadra tanto perseguito all’interno delle organizzazioni da elevarlo, se possibile, a senso di famiglia.
È agevole intuire che non è da tutti stabilire una profonda connessione emotiva con il proprio interlocutore di turno: è questione di sensibilità, magari di talento o anche di formazione ad hoc che possa consentire di interpretare lo stato d’animo da un’attenta osservazione del corpo, dei movimenti, delle reazioni.
Ciò detto, l’empatia diventa a tutti gli effetti una disciplina, pertanto possederne i fondamentali diventa un’imprescindibile competenza ai fini di una gestione vincente dei rapporti in seno al proprio team.
Non mancano, naturalmente, le insidie, imputabili ad un uso distorto dell’empatia, qual è quello di immaginare come avremmo noi gestito una data situazione, poco piacevole, sforzandosi di decifrare la natura delle emozioni dell’altro attraverso il proprio modo di essere, assolutamente personale e non coinvolto, o, addirittura, quello fuorviante perché generato da bias cognitivi.
Un approccio per ovviare a simili inconvenienti è avviare un colloquio con la persona che ci sta di fronte, creando un contesto nel quale possa esprimere la sua emotività, evitando di azzardare congetture.
Ancora una volta si ha conferma che rappresentare un riferimento per un gruppo di persone impone, non solo il possesso di competenze tecniche che permetta di vivere le problematiche gestionali con cognizione di causa, ma altresì lo sviluppo di una preziosa inclinazione all’ascolto, soprattutto di messaggi non trasmessi a voce.
Michele Monteforte