Politica monetaria accomodante della BCE e crisi di liquidità: un'apparente contraddizione

Nel corso degli ultimi due anni la Banca Centrale Europea ha inviato a più riprese forti impulsi al sistema economico, nel tentativo di stimolarne una netta inversione di trend, agendo, ovviamente, sul comparto finanziario affinché si avessero ricadute sull’economia reale.

 

 

 

 

 

 

La manovra monetaria attuata da Draghi, in economia definita accomodante, si è articolata nel lancio ripetuto di operazioni di prestito a favore delle banche a tassi bassissimi, per un controvalore di 1.040 miliardi di euro, di cui 290 destinati agli Istituti di Credito italiani (Fonte Il Sole 24 Ore).

La finalità di siffatte iniezioni di liquidità era di far confluire queste nuove risorse verso le imprese e le famiglie, accordando loro finanziamenti così da far ripartire la produzione, l’occupazione, quindi, i consumi.

Tuttavia, la missione è stata fallita, nel senso che le banche, anziché erogare e drenare capitali nella destinazione voluta, hanno scoperto una maggiore convenienza nel fare scambi sui titoli di Stato, tant’è che secondo Bankitalia ad ottobre nel nostro Paese i prestiti bancari alle imprese sono diminuiti del 4,9%, con evidenti ripercussioni negative sul Pil.

Sotto un profilo tecnico – finanziario, innanzitutto quest’orientamento delle banche si spiega considerando che la recessione in cui si è precipitati ha accresciuto il rischio connesso con il credito alle imprese.

È quanto emerge se si osserva anche che i crediti deteriorati, in gergo definiti non performing loans, suddivisi tra quelli definitivamente inesigibili e, per questo, divenuti sofferenze e quelli per i quali, invece, sussistono ancora buone probabilità di recupero, cosiddetti incagliati, nel corso di ottobre sono aumentati del 22,9% (Fonte Il Sole 24 Ore).

Pertanto, quanto accaduto ha spinto le banche a giudicare più prudente praticare una stretta creditizia, sebbene questa politica ha avuto l’effetto dirompente di penalizzare anche le aziende dotate di struttura patrimoniale solida, con la conseguenza che, a seguito della indiscriminata chiusura del credito, esse hanno visto cadere i loro debiti nella categoria dei non performing loans.

Il mancato arrivo nelle casse delle imprese e nelle tasche delle famiglie della nuova liquidità immessa si capisce altresì considerando i rendimenti garantiti sui titoli del debito pubblico in particolare di Spagna e Italia, ben più alti degli interessi che le banche sono chiamate a pagare alla BCE per i fondi presi a prestito, che, si ribadisce, si sono attestati su livelli ai minimi storici.

Ecco, dunque, che i margini, misurati in termini di Roi (Return on investment) derivanti dagli acquisti di bond pubblici sono ben più rilevanti di quelli realizzati facendo credito alle imprese.

Quanto sopra argomentato dimostra che non si è attivato il canale di trasferimento dalla finanza all’economia reale tanto voluto dalla BCE, al punto che il relativo governatore, il nostro Draghi, ha assicurato che, qualora in futuro ci dovessero essere nuove ondate di denaro a condizioni vantaggiose per le banche, sarà garantito che a beneficiarne dovrà essere l’economia reale.

Il descritto atteggiamento assunto dagli Istituti di Credito, a parere di chi scrive, può essere spiegato non solo in termini di opportunità di investimento, ma anche avendo presenti le difficoltà per taluni Stati, tra questi l’Italia, di reperire capitali sui mercati utili a finanziare i propri rispettivi debiti, per cui le banche si sono trasformate in uno strumento a disposizione della BCE funzionale al trasporto di moneta verso, appunto, gli Stati bisognosi, non essendo consentito un rapporto diretto tra di essi.

Questa lettura plausibile non cambia, però, la sostanza delle cose: comunque al tessuto reale non è giunta nuova linfa, certamente vitale per qualcuno.

Un’ultima considerazione va fatta con riferimento agli stress test in programma nel 2014, attraverso i quali la BCE misurerà la capacità di resistenza dei bilanci bancari a shock economici simulati.

Nell’ambito di siffatta analisi, i titoli sovrani posseduti dalle banche saranno valutati risk off ossia senza rischio, laddove i prestiti alle imprese saranno risk on e, quindi, nocivi.

È semplice dedurne che le banche saranno scarsamente incentivate a erogare prestiti all’economia reale pur di superare l’esame, il che rende, però, gli stress test necessari per verificare la solidità delle banche ma al contempo dannosi perché rischiano di compromettere la ripresa.

Un paradosso tanto grave quanto quello relativo al trade off tra Roi, in quanto indice della convenienza finanziaria e patrimoniale di un’operazione di investimento per una banca, e Pil, quale rilevatore del benessere collettivo, favorito anche da una maggiore e più facile apertura al credito per tutti.

Ciò significa che, alle attuali condizioni, le banche avranno sempre maggior interesse ad investire in titoli pubblici, migliorando il proprio Roi, anziché concedere credito, penalizzando il Pil.

 

Michele Monteforte                       

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