Un’azienda modello chiamata S.S.C. Napoli

L’idea e l’entusiasmo di dedicare un approfondimento al Napoli, inteso come realtà aziendale operante nel settore del calcio benché sarebbe più corretto utilizzare il termine entertainment, che, in linea con le ambizioni del Presidente De Laurentiis, dovrebbe rappresentare la vera mission da perseguire, nascono nello stesso istante in cui, nell’animo di chi scrive, si incontrano due travolgenti passioni, cresciute col passar del tempo: quella per il calcio e per il grande Napoli in particolare e quella per la materia aziendale.

 

 

 

In questo modo è maturata la decisione di verificare se la propria squadra del cuore è espressione di un’organizzazione gestita con oculatezza e, quindi, con professionalità, la stessa che deve guidare verso un’analisi critica e obiettiva capace di non risentire della propria fede calcistica.

È doveroso, innanzitutto, premettere che sulla conduzione della società Napoli ha inciso, in misura preponderante, il carisma, l’intraprendenza e l’autorevolezza del suo azionista di riferimento, quell’Aurelio De Laurentiis bravo ad associare al suo essere imprenditore e, dunque, strategicamente all’inseguimento del business, doti eccezionali di manager che, generalmente, la proprietà di importanti organizzazioni si vede costretta a comprare sul mercato. Con questo non si vuole sminuire il ruolo e il lavoro di coloro che figurano nell’organigramma della società, tant’è che la qualità di un manager si dimostra anche in fase di allestimento di un management di primo ordine.

Almeno fino ad oggi, la S.S.C. Napoli ha rovesciato quella relazione di inversa proporzionalità tra successi sul campo, ancora pochi in verità, e proficuo andamento economico - finanziario che da sempre ha condizionato la gestione delle società di calcio, la quale, in alcuni casi, è stata smentita nel senso che, nonostante la rinuncia ai primi, non si è registrato il secondo decretando un inevitabile fallimento che, purtroppo, anche il Napoli ante De Laurentiis ha conosciuto.

In realtà, in vista del famigerato fair play finanziario tanto proclamato da monsieur Platini nella sua qualità di presidente dell’Uefa, tutte le compagini dello scenario calcistico europeo sono chiamate a rispettare il diktat relativo agli equilibri gestionali da preservare, pertanto molti club già da quest’anno hanno inaugurato una stagione di austerity che ha condotto alcuni di essi, vedi Milan, a cedere illustri campioni al fine di alleggerire i propri bilanci dagli esosi costi rappresentati dai relativi ingaggi.

Ecco, quindi, che, mentre per i più una gestione bilanciata ha rappresentato una brusca inversione di tendenza rispetto all’andazzo perpetrato per più anni, nel caso del calcio Napoli si è trattato di una filosofia congenita, di un modo di essere naturale, di una normale logica funzionale al raggiungimento di vittorie calcistiche.

Siffatta saggezza manageriale ha investito le singole funzioni organiche in cui può essere articolata l’intera gestione, per cui inevitabilmente grossa rilevanza è stata conferita alla fase di programmazione, la cui criticità appare evidente se si parte dall’estate 2004, quando, con qualche pallone generosamente regalato e pochi calciatori, ebbe inizio l’era delaurentiisiana, e si valuta il cammino compiuto per arrivare a quella che è la società modello di oggi, percorso che non può assolutamente essere il risultato di improvvisazione e di un processo non coordinato di azioni.

Ha giocato certamente un ruolo preminente anche l’organizzazione, tant’è che l’organico attuale è completo di ogni figura professionale di cui un complesso aziendale calcistico possa aver bisogno, sulla cui qualificazione e competenza non si ritiene opportuno esprimere giudizi se non indirettamente attraverso il commento ai traguardi tagliati o meno.

Dal momento che, oltre alla passione, all’amore per gli atleti che vestono la casacca con cui ci si sente rappresentati, agli ideali, il calcio è divenuto un business a tutti gli effetti, si è imposta una conduzione dell’intero complesso aziendale ispirata ai più rigorosi principi di management, raccomandati dalla letteratura di ogni tempo. Ciò perché, si ribadisce, al raggiungimento dei risultati sportivi, si è aggiunto l’imperativo del profitto, secondo la logica comune a qualsivoglia azienda, perseguendo un sottile equilibrio di sopravvivenza volto ad impedire che i primi possano prevalere sul secondo o viceversa perché trattasi, in entrambi i casi, di motori che per funzionare devono alimentarsi vicendevolmente in un rapporto di complementarietà in funzione del quale sarebbe difficile attendersi, nel medio – lungo periodo, congrue risposte di natura economico – finanziaria se dovessero mancare altrettanti importanti successi fatti di vittorie di trofei. Allo stesso modo, queste ultime sarebbero messe fortemente in discussione se non si creassero i giusti presupposti di bilancio che consentono di ingaggiare quelli che vengono comunemente definiti top player

Probabilmente, è proprio in questo ambito che la decennale esperienza del De Laurentiis manager e imprenditore ha prodotto gli esiti più interessanti, facendo della passione per quella maglia il cui colore ricorda il mare e il cielo della città che rappresenta un’impresa da inserire nei libri di economia aziendale come case history

E fu così che cominciò a parlarsi non solo di goal emozionanti, dribbling ubriacanti o di fuorigioco inesistenti, ma di analisi s.w.o.t., di marketing, di politiche di bilancio, insomma si è inaugurato il ricorso a quegli strumenti di gestione il cui utilizzo investe le varie aree in cui la stessa si suddivide.

In primo luogo, dal punto di vista della contabilità, sono state operate scelte che si sono rivelate decisive sia perché hanno rappresentato una vera rivoluzione nel panorama calcistico moderno sia per i riflessi che ne sono derivati sui conti. Ci si riferisce al salary cap stabilito in proporzione alle potenzialità del club, lasciando ad altri gli ingaggi folli che rappresentano una condanna alla vittoria per garantirsi la sopravvivenza. Altra manovra vincente è stata quella che ha condotto ad assicurarsi i diritti di immagine dei calciatori, il che ha rappresentato un’importante fonte di entrate, benché, si ritiene, che siffatta politica vada almeno in parte rivista al cospetto di fuoriclassi del calibro di Messi o Cristiano Ronaldo, ammesso che si riuscisse a portarli all’ombra del Vesuvio.

Cospicui introiti sono derivati anche dagli accordi di sponsorizzazione che la società ha stipulato con realtà di primo livello, si pensi, ad esempio, a Lete e Msc, la cui contemporanea presenza sulle maglie azzurre ha rappresentato l’ennesima innovazione. Siffatte iniziative sono state favorite dalla crescente visibilità che il brand Napoli va acquisendo sui mercati italiani ed internazionali.   

Nell’ambito della vincente strategia di marketing che il team guidato dal produttore cinematografico si impegna a realizzare, si distingue anche un’intensa attività di vendita dei prodotti ufficiali del Calcio Napoli, la quale si sostanzia in una serie di iniziative di merchandising che hanno portato alla diffusione di molteplici oggetti contrassegnati dal logo partenopeo, quali cravatte, cinture, tute egadget vari. Anche in questo caso si sono registrate positive ricadute in termini di fatturato.

In considerazione del bacino d’utenza e dell’appeal mediatico che il Napoli riesce a suscitare, la voce, forse più importante, di entrata nel bilancio del club azzurro è rappresentata dai diritti televisivi, a fronte dei quali la società di De Laurentiis riesce ad incassare importanti risorse proprio grazie al grande seguito di cui gode, a cui si faceva riferimento prima. Pertanto, la pay per view costituisce un’ulteriore sorgente di guadagni per il suo consentire, anche a chi non è sugli spalti, di vivere in diretta le travolgenti emozioni che una partita del Napoli sprigiona.     

In un’ottica di globalizzazione ancora non fatta propria del tutto, poco numerose sono state le spinte di internazionalizzazione poste in essere dal management in vista dell’espansione delle attività commerciali oltre i confini nazionali e verso mercati inesplorati sotto il profilo calcistico, i quali iniziano a manifestare un qualche interesse per il mondo del pallone. Si inquadra, per esempio, in questa prospettiva la decisione di giocare a Pechino la finale di Supercoppa italiana tra Napoli e Juve, consentendo ad entrambi i club di incassare ragguardevoli introiti.

Altre trovate rispondono alla logica del marketing voluta dal Presidente, quali quella della crociera nelle acque del Mediterraneo cui il tifoso napoletano ha potuto partecipare insieme ad alcuni calciatori e dirigenti, godendo del divertimento assicurato attraverso i numerosi eventi organizzati.

Finalizzato alla divulgazione del marchio della società nonché degli sponsor è stato il calendario, che, per ogni mese dell’anno, propone in bella posa tutti i beniamini della squadra, rendendo ulteriormente indissolubile il rapporto con la tifoseria.

Non manca, in questo quadro di azioni di comunicazione, una pianificazione di web – marketing realizzata attraverso il sito istituzionale accessibile da tutti gli stakeholders ovvero da chiunque sia portatore di interesse verso le vicende della società. Pertanto, il sito diventa sia una vetrina di presentazione sia un contenitore di news tecniche, sportive e commerciali comunicate anche attraverso la newsletter a cui è possibile iscriversi sia uno strumento di dialogo diretto grazie a facebook e twitter secondo la logica di comunicazione one to one propria dei social network.         

I raccontati brillanti risultati, di bilancio e non solo, rappresentano la più immediata conseguenza di una rigorosa attività di controllo focalizzata soprattutto sull’area tecnica e volta al contenimento dei relativi costi, a cominciare dagli stipendi pagati ai giocatori, determinati, si ribadisce, in funzione delle potenzialità di fatturato. Anzi, da un’attenta analisi dei bilanci societari, emerge una relazione inversa tra l’incidenza dei costi, che si riduce, e il margine operativo lordo ossia la ricchezza prodotta e che resta, anche se ante imposte, nelle disponibilità della società, che, invece, aumenta. Ciò vuol dire che la crescita degli stipendi è stata più lenta dell’incremento del fatturato e questo grazie, da un lato, ad un governo parsimonioso della numerosità della rosa calciatori e, dall’altro, alla innovativa gestione centralizzata dei diritti di immagine dei calciatori.

Ai lettori appassionati di economia aziendale non sarà certamente sfuggito che, in sostanza, è stato attuato quello che i manuali di finanza definiscono autofinanziamento vale a dire lo sviluppo che il modello di business rappresentato dal calcio Napoli ha avuto nel tempo è stato finanziato con risorse generate dalla gestione stessa, consentendo, di conseguenza, alla proprietà di rientrare dell’investimento effettuato in fase di start – up e di limitare gli sforzi finanziari prospettici, fermo restando l’imprescindibilità insita nella solidità patrimoniale della famiglia De Laurentiis.

A tal proposito, un giudizio negativo può essere espresso per quel che riguarda il piano degli investimenti realizzato, in quanto, tolte le risorse impiegate nel rilevare gli attivi del fallimento della vecchia S.S.C. Napoli nonché nell’acquisto dei calciatori, qualcuno con mediocre rendimento, scarsi fondi sono stati destinati alle strutture: si pensi che manca ancora il cartellone elettronico all’interno dello stadio.

L’argomento cruciale è proprio lo stadio che, se di proprietà, consentirebbe di incrementare le capacità di fatturato, così da innescare un nuovo circolo virtuoso di recupero dell’investimento attraverso l’autofinanziamento di cui si diceva prima.

Avere un impianto proprio significherebbe affacciarsi su altri mercati, quali quello della ristorazione, dello shopping, delle mostre, così da affermare quella natura di organizzazione di entertainment verso cui tende De Laurentiis, in quanto uomo di spettacolo.

Altro auspicio, coerentemente con la mission perseguita, sarebbe quello della nascita di un canale televisivo tematico dedicato all’universo Napoli che, presentandosi come l’esclusiva voce ufficiale della società, rappresenterebbe una nuova occasione di guadagni per la forte attrazione che sarebbe in grado di esercitare, richiamando abbonati e sponsor.           

Probabilmente, senza disconoscere i notevoli progressi realizzati, anche qui esaltati, alla S.S.C. Napoli manca ancora un quid per provare a ridurre quel divario da cui è separata da alcuni grandi club europei, ovviamente non si parla di Real Madrid o di Barcellona, ma di realtà più raggiungibili.

Magari, in aggiunta agli sperati investimenti in infrastrutture, ci sarebbe da compiere un salto di qualità in tema di organizzazione, che finora ha funzionato consentendo di centrare gli obiettivi descritti, ma la percezione che prevale porta a considerare il calcio Napoli una realtà ancora troppo domestica, per cui sarebbe auspicabile un arricchimento dello staff dal punto di vista sia numerico, quindi, quantitativo, che dei profili manageriali impegnati, dunque, qualitativo, così da essere pronti alla sfida internazionale da vincere non solo sul campo. 

È d’obbligo concludere che, pur convenendo sulla rilevanza delle scelte societarie in termini di pianificazione, organizzazione, marketing e quant’altro, al tifoso interessa avere una società ricca, sì sotto il profilo patrimoniale, ma anche e soprattutto dal punto di vista dei trofei da sistemare in bacheca per evitare di dover soccombere nel confronto con i tifosi delle altri compagini.

Michele Monteforte    

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