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Quali soluzioni organizzative valutare
Il vivere quotidiano a stretto contatto con aziende diverse per cultura, dimensioni, settore di appartenenza o per qualsiasi altro elemento di differenziazione offre continuamente preziosi spunti di riflessione sulle dinamiche gestionali attraverso le quali si articola la vita aziendale.
Rappresenta sicuramente un tema critico da analizzare periodicamente l’adeguatezza della soluzione organizzativa adottata, ciò allo scopo di verificare puntualmente la sussistenza dei presupposti per un efficiente svolgimento della propria attività.
La letteratura di management da sempre suggerisce modelli di organizzazione che garantirebbero, al ricorrere di certe condizioni, performance brillanti e il dibattito sulla relativa efficacia impone di accertarne, preliminarmente, la coerenza rispetto alla propria specifica realtà.
Tradizionalmente, le strutture organizzative vengono progettate intorno al concetto di gerarchia, per cui si delinea una modalità di funzionamento verticale, piramidale, verticistica governata dal criterio del comando e controllo.
Alla rigidità di una simile soluzione si contrappongono, posizionandosi all’opposta estremità di un’immaginaria linea continua di sistemi di organizzazione, trovate assolutamente originali, come l’olocrazia, ispirate ad una governance distribuita, dove la nozione di democrazia viene esasperata.
Partendo dalla consapevolezza che l’azienda è una macchina non complessa ma complicata perché al suo interno vivono persone, ognuna con il suo sapere, le sue ambizioni, le sue problematiche, si ritiene, proprio grazie alle innumerevoli occasioni di confronto con reali problematiche aziendali, che, come spesso accade, la migliore architettura da suggerire in conformità con le specifiche esigenze operative si ponga su un punto centrale, intermedio, equidistante.
È indubbia l’opportunità di rinunciare all’uso dell’autorità che contraddistingue le strutture verticali di tipo top-down, all’interno delle quali viene sottratto ogni spazio al dibattito, alla condivisione, al coinvolgimento, ma è altrettanto rischioso ricorrere ad approcci che favoriscano una accentuata diffusione del potere decisorio.
Le organizzazioni aziendali non sono democrazie e non devono esserlo nel rispetto del principio della meritocrazia, che verrebbe soffocato laddove si prediliga un meccanismo decisionale allargato.
Rappresenta, senza dubbio, una pratica feconda quella di garantire una diffusa partecipazione al processo decisionale, proprio tenendo conto che la pluralità di prospettive conferisce maggiore robustezza alle scelte, ma questo modo di fare deve svilupparsi nel pieno ossequio dei ruoli e ciò vuol dire che, sebbene chiunque debba avere la possibilità di apportare il proprio contributo, il compito di assumere la decisione finale deve essere singolare, considerando che a questo compito corrispondono, con egual peso, potere e responsabilità.
Michele Monteforte