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Le origini di una crisi senza precedenti

La crisi che stiamo vivendo ha davvero raggiunto proporzioni mai esplorate prima? Il parametro per determinarne l’ampiezza e la profondità è ovviamente rappresentato dalla grande depressione degli anni 29 – 33, quando l’economia mondiale precipitò in una spirale di recessione mostruosa.

Ma al di là dei raffronti, può essere utile chiarire quali siano stati i fattori scatenanti.

 

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L’elemento comune che si riesce a scorgere attraverso un’analisi attenta di entrambi i fenomeni depressivi attiene alla loro genesi, la cui natura è essenzialmente finanziaria, benché inevitabilmente si producono conseguenze dolorose su quella che viene definita economia reale ossia consumi, produzione e, quindi, reddito e occupazione.

Anche da un punto di vista geografico la provenienza è la stessa: gli Stati Uniti d’America.

A opinione di chi scrive, sebbene le cause possono dirsi omogenee, diversa è stata l’interpretazione dei ruoli da parte dei protagonisti, nel senso che, mentre l’inizio della crisi del ’29 è  associato con il crollo della Borsa di Wall Street, la crisi che si vive oggi, probabilmente, è stata non indotta ma amplificata dai giochi speculativi che si consumano sui mercati finanziari.

In ogni caso, gli spazi nei quali è stato possibile agire in modo insano, minando il corretto funzionamento del sistema economico alle sue fondamenta, sono stati aperti dall’assenza di una seria regolamentazione che prevedesse anche puntuali controlli e ci si riferisce, però, a quell’insieme di regole la cui deficienza trasforma un libero mercato in un mercato dominato da anarchia, dove è possibile osservare operazioni contrarie ad ogni principio di buon senso.

Agli inizi degli anni duemila, si diffonde tra le banche statunitensi il vezzo di riconoscere credito attraverso la concessione di mutui anche a favore di coloro che, per motivi di reddito ovvero per altre ragioni, non godevano di un apprezzabile merito creditizio. Siffatti mutui, noti come mutui subprime, sono stati destinati prevalentemente all’acquisto della propria casa, alimentando, così, il sogno americano di possedere un’abitazione di proprietà, pur garantendo, si ribadisce, una scarsa affidabilità circa la puntuale restituzione di quanto preso a prestito. Un primo effetto immediato è stato un ovvio incremento di domanda nel settore immobiliare, con conseguente gonfiamento di un’enorme bolla speculativa, favorita altresì dai bassi tassi di interesse vigenti negli states.

L’inspiegabile, ma solo apparentemente, comportamento delle banche americane consistente nell’erogazione generalizzata di denaro si spiega considerando un congegno che le stesse avevano messo in piedi e che è noto come cartolarizzazione.

In sostanza, la cartolarizzazione da un lato e la bolla immobiliare dall’altro hanno rappresentato due sicuri paracadute per gli istituti di credito eroganti nell’ipotesi, poi rivelatasi ovviamente ricorrente per le oggettive incapacità reddituali degli indebitati, di difficoltà anzi di impossibilità per questi di onorare gli impegni assunti.

Ciò significa che, per effetto degli alti prezzi caratterizzanti il settore immobiliare, la procedura di pignoramento a cui ciascuna banca ha fatto ricorso a partire dalla interruzione nel processo di incasso delle rate del mutuo concesso ha consentito di lucrare più di quanto l’immobile in questione valesse nel momento in cui si è perfezionata l’operazione di mutuo.  

A ciò si aggiunga che, ricorrendo al meccanismo prima definito della cartolarizzazione, le banche neutralizzavano il rischio connesso con i mutui subprime, trasferendolo al mercato. In altri termini, la banca cedeva il proprio mutuo ad un’istituzione finanziaria operante sul mercato, incassando una somma più bassa rispetto al valore nominale del mutuo, ma con il vantaggio di anticipare il recupero del denaro prestato, anziché attendere la naturale scadenza del piano di rimborso, e, soprattutto, di liberarsi dell’azzardo derivante dal profilo per niente meritevole dei mutuatari.

Dal canto suo, la società che rilevava il mutuo, legate ad esso, emetteva delle obbligazioni che collocava sul mercato finanziario, pagando su di esse, perché il tutto avesse un ritorno economico, un interesse più basso rispetto a quello incassato sulle rate del mutuo e così operando i titoli emessi hanno raggiunto ogni angolo del mondo.

Ecco, dunque, che bolla immobiliare e cartolarizzazione hanno funzionato da incentivo per le banche in vista di una continua e progressiva concessione di mutui e tutto è proseguito con l’avallo delle agenzie di rating chiamate ad esprimere pareri sulla bontà delle operazioni poste in essere. 

Come poteva essere facile immaginare, i problemi non hanno tardato ad arrivare, condotti da un aumento dei tassi di interesse, che ha reso più cara e, quindi, maggiormente difficoltosa la restituzione dei mutui, e dall’esplosione della bolla immobiliare che ha provocato una caduta dei prezzi delle case, con conseguente realizzazione di perdite da parte delle banche in occasione della vendita degli immobili pignorati.

Pertanto, si è innescato un circolo vizioso con il mancato versamento delle rate da parte dei mutuatari e ciò ha comportato due conseguenze alternative: se il mutuo era ancora nel portafoglio della banca, questa ha proceduto con il pignoramento registrando, però, delle perdite in virtù del deprezzamento diffuso nel settore immobiliare, se, invece, il mutuo era stato rilevato dalla società di cartolarizzazione, questa, non incassando più le rate del mutuo, non è più riuscita a pagare né gli interessi sui titoli, ormai ovunque, né a rimborsarli.

Questo processo ha trasformato una crisi privata, perché delle banche, in peggioramento delle finanze pubbliche, in quanto gli Stati sono stati costretti a interventi di salvataggio (eccezion fatta per Lehman Brothers), nonché una crisi locale in crisi sistemica come risultato della cartolarizzazione, dato che di titoli tossici c’è traccia ovunque ed in ogni bilancio.

In realtà, l’esito ultimo e più grave è stato il materializzarsi di un crollo terrificante nell’economia reale, con cui siamo chiamati a fare i conti ancora oggi e quel che più preoccupa è il non intravedere una via d’uscita.   

L’espansione a macchia d’olio delle obbligazioni collegate ai mutui subprime ha causato ingenti perdite nelle finanze delle banche che vi avevano investito, acuite dalle difficoltà con cui esse sono riuscite a reperire risorse fresche sul mercato finanziario in generale e, più in particolare, sul mercato interbancario. Alla base di siffatti impedimenti vi è l’incertezza circa la quantità che di questi titoli tossici ogni banca avesse in portafoglio e ciò ha condotto ad un esaurimento di quella fiducia reciproca assolutamente necessaria perché le banche si prestassero soldi tra loro e perché il mercato investisse su di loro.

La spaventosa crisi di liquidità che ne è derivata ha prodotto un’asfissiante stretta creditizia, per cui si è assisiti ad una brusca frenata nel riconoscimento di prestiti a famiglie e imprese specie alle piccole imprese, le quali hanno vissuto un progressivo deterioramento dei propri equilibri finanziari e monetari, con inevitabili ripercussioni negative in termini di occupazione, immancabili mortificazioni dei consumi e, quindi, cali di produzione a livello globale. Tale quadro viene completato dalle misure di austerità imposte dai governi attraverso l’aumento delle tasse e il taglio della spesa in vista del risanamento dei conti pubblici che speriamo non sia solo utopia.

Questa è quella realtà che qualcuno chiama recessione.

 

Michele Monteforte                 

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