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L’Evasione: chi è costui

Il fenomeno dell’evasione è strettamente correlato con un mondo paragonabile ad un pianeta del sistema solare, per esempio Marte, di cui si conosce l’esistenza, sempre oggetto di osservazione, quasi inesplorato ma mai definitivamente conquistato. E’ il mondo dell’economia sommersa.

 

 

 

 

 

Come lascia agevolmente intuire la definizione, questo cosmo rappresenta uno spazio dove vivacemente si sviluppa un’incessante operosità fatta di scambi ed operazioni economiche in genere molto ben celate, al punto da sfuggire ad ogni rilevazione, senza che la benché minima traccia venga stanata dalle statistiche ufficiali e, più in particolare, dal fisco.

A parere di chi scrive, la piaga della fraudolenta sottrazione all’obbligo di pagamento delle tasse in proporzione alla propria capacità contributiva, a sua volta determinata dal reddito realizzato da ciascuno, impone un’analisi attenta e profonda che possa consentire di intravedere due aspetti di questo male dalle dimensioni difficili ma in realtà impossibili da stimare puntualmente.

Innanzitutto l’evasione si spiega attraverso gli espedienti posti in essere al fine di nascondere parte del proprio reddito mediante vendite a nero, contratti di lavoro non regolarizzati, svolgimento non ufficiale di attività mai dichiarate. In questo ambito rientrano sia coloro che realizzano grosse ricchezze che non vogliono condividere con lo Stato in preda ad una cupidigia accentuata ma anche chi, per esempio un piccolo artigiano, che, animato dall’istinto di sopravvivenza, si sforza affinché quel circa 50% del suo reddito destinato a rimanere nelle sue tasche abbia un peso sufficiente in vista della conservazione di un tenore di vita quantomeno dignitoso e decoroso.

Ovviamente, lungi da chi scrive ogni tentativo di tolleranza verso condotte da condannare da più punti di vista, in quanto l’intento del presente scritto è di provare a spiegare un fenomeno sempre più dilagante e quanto mai attuale.    

L’altra sfaccettatura della problematica in questione induce ad identificarla quale conseguenza di vergogne che ne sono a monte, in particolare ci si riferisce all’evasione derivante dalla criminalità, in grado di gestire business di importi rilevanti, nonché dalla corruzione, entrambe filo conduttore tra la prima, seconda, terza Repubblica e speriamo ci si fermi.

Ecco, dunque, in questa seconda ipotesi, combattere l’evasione è come asciugare acqua traboccante senza mai chiudere il rubinetto, pertanto andrebbero rimosse le sorgenti con conseguente recupero di risorse certamente ingenti che si aggiungerebbe ai ritorni che si avrebbero in termini di vissuto all’interno di una società, la nostra, libera da due sventure che, purtroppo, ne hanno segnato la storia.

Fedele ad una visione realistica e non negativa della questione, si ha l’impressione che le difficoltà che la lotta a questo secondo tipo di evasione costringe di superare siano insormontabili perché è da sempre stato complicato estirparne le cause, laddove si ritiene si abbiano maggiori margini di manovra nel vincere il sommerso legato allo svolgimento di attività economiche.

Sia chiaro, si ribadisce, che sempre di truffa allo Stato trattasi.

In primo luogo, una misura che si dovrebbe adottare, compatibilmente con la salvaguardia degli equilibri generali di finanza pubblica, è quella largamente approvata di alleggerire la pressione fiscale, dal momento che oggi, per esempio, assumere regolarmente un lavoratore costa, tra tasse e contributi previdenziali e assistenziali, molto di più che arruolarlo a nero, fermo restando la mancanza di garanzie a favore del dipendente in caso di malattia, maternità e di pensione.

Sempre secondo il modesto parere del sottoscritto, si è dell’avviso che il porre limiti bassi all’utilizzo di contante possa scatenare l’effetto contrario di incentivo allo svolgimento di operazioni senza lasciare traccia, per cui sarebbe consigliabile alzare l’asticella come per il passato.

La ritenuta inefficacia di siffatta iniziativa si spiega sia considerando la massa di danaro in circolazione non dichiarata, per cui chi ne è in possesso non ha interesse né difficoltà a farne uso per pagamenti di modesta entità, facilmente gestibili anche per chi li riceve, sia in termini di comodità nell’onorare compensi per chi non è abituato a utilizzare la moneta elettronica, pertanto preferisce pagare in contanti a fronte di nessuna certificazione che, magari, comporterebbe un aggravio per l’aggiunta dell’iva e nessun beneficio, per esempio fiscale, laddove non si tratti di spese detraibili.

Naturalmente, quanto sopra illustrato diventa possibile, come anticipato, unicamente in relazione ad importi di modico valore, perché in caso contrario chi si ritrovasse nella posizione di incassare somme importanti incontrerebbe ostacoli sia negli eventuali acquisti consistenti, che ovviamente non fossero quelli del normale vivere, che nel relativo deposito, salvo ricorrere ad espedienti complessi e al centro di una guerra aperta.             

Il vezzo alla magia di far scomparire ricchezza agli occhi del fisco è trasversale, nel senso che non è prerogativa specifica di qualche settore, laddove appartiene al notorio che sono determinate categorie di contribuenti che consumano l’evasione più elevata. In particolare, sono i lavoratori autonomi, non solo notai, avvocati, dentisti ma anche idraulici, imbianchini, tecnici per tv, che fanno registrare,  almeno è quanto emerge da statistiche ufficiali, i più alti numeri di recupero di irpef, irap e iva, le tre imposte che sono chiamati a pagare coloro che lavorano in proprio.

Meno possibilità hanno i lavoratori dipendenti che percepiscono un reddito già tassato alla fonte ad opera del datore di lavoro che funge da sostituto di imposta, a meno che questi non si dedicano ad una seconda attività con cui realizzano un’evasione totale.

Al novero delle persone che evadono si aggiungono anche coloro che, disponendo di immobili, registrano il contratto di locazione denunciando un canone più basso di quello effettivamente percepito.

È immediato comprendere che, al di là delle percentuali di evasione calcolate in riferimento alle singole classi di contribuenti, sono innumerevoli le occasioni e le modalità di risparmio arbitrario della tassazione.

Riuscire ad avere la meglio contro il nemico chiamato evasione e creare le condizioni per un’assoluta tax compliance, inducendo i cittadini ad un ossequioso adempimento degli obblighi previsti dalla legge,  comporterebbe molteplici vantaggi: innanzitutto, ne beneficerebbero i conti dello Stato in termini di riduzione del debito pubblico, anche per effetto della riduzione dei costi che la lotta all’evasione costringe a sostenere, il che consentirebbe di stimolare la crescita economica, a sua volta motivo di maggiori entrate fiscali; pagando tutti, si avrebbe la possibilità di far pagare meno tasse a tutti; si instaurerebbe un clima di equità tra cittadini e imprese e, tra queste, un regime di concorrenza leale, evitando all’artigiano evasore di essere più competitivo del suo collega onesto.

Uno studio condotto dalla Banca d’Italia e risalente a dicembre 2010 ha illustrato i fattori principali la cui azione ha determinato da sempre livelli molto bassi di tax compliance, mortificando, di fatto, l’attitudine alla rispettosa osservanza dei propri doveri da contribuenti italiani ovvero:

  • Pressione fiscale vessatoria
  • Amministrazione Finanziaria inefficiente
  • Normativa fiscale non facilmente comprensibile
  • Atteggiamento di sfiducia del contribuente verso lo Stato
  • Sistema di norme disorganizzato
  • Ordine della tassazione fondato sul principio dell’autodichiarazione

    

L’aver individuato le ragioni fondamentali alla base di comportamenti tendenti all’aggiramento di disposizioni di legge, in particolare in ambito fiscale, può essere visto come un ottimo inizio in vista dell’attuazione di un’efficace strategia repressiva in certi casi curativa in altri.

In realtà, riguardo alla pesantezza dell’imposizione fiscale, in Italia, a dir il vero, non sono state poste in essere iniziative concrete e risolutive, tant’è che dal 1992 in poi è stato rilevato un aumento progressivo dell’incidenza delle imposte sul reddito, attestandosi sempre al di sopra della media dei Paesi Ocse.

Per quel che concerne, invece, l’improduttività nel funzionamento dell’Amministrazione Finanziaria, qualche miglioramento si è registrato, per esempio attraverso il potenziamento dell’azione di accertamento fiscale e conseguente recupero dell’imponibile, ma la strada si ritiene essere ancora lunga, in quanto c’è ancora tanta base da far emergere.     

Al fine di agevolare la pratica attuazione delle norme, occorre rilevare che nel 2000 è stato introdotto lo Statuto del contribuente (Legge 212/2000), prevedendo una serie di tutele con il fine di garantire un maggior rispetto reciproco nei rapporti tra Fisco e cittadini. Inoltre, nel corso degli anni, si sono succedute varie manovre, sottoforma di decreti, volte alla semplificazione dell’impianto normativo. C’è, però, da dire che queste iniziative non hanno sortito grossi effetti e a ciò si aggiunga che a più riprese il menzionato Statuto del Contribuente è stato disatteso proprio con l’approvazione di leggi da parte dello Stato in aperto contrasto con principi in esso affermati, pertanto anche sotto questo aspetto rimane ancora tanto da fare.

Al fine di indurre nel cittadino uno spirito di maggior consenso e un sentimento di totale apertura in relazione a quanto si possa ricevere dallo Stato, non sono mancati tentativi diretti a creare alte aspettative, quali riduzione della stretta fiscale, politiche di revisione della spesa, meglio note come spending review, taglio degli sprechi. E’ doloroso ammettere che, in effetti, malgrado le descritte iniziative, la realtà delle cose non è progredita granché, forse perché gli atti messi sul campo si sono rivelati di scarsa utilità.

Avverso la mancata armonia che contraddistingue il complesso di norme operanti nel nostro Paese, eccezion fatta per alcune determinanti riforme che si sono avute nel corso del tempo, non si ritiene che si siano realizzati radicali progressi strutturali, per cui i margini di manovra restano ampi.

Infine, in merito alla regola in funzione della quale spetta al contribuente denunciare i suoi stessi redditi, aprendo di conseguenza enormi spazi perché si possa essere indotti a “dimenticare” qualche guadagno veramente realizzato, i vari governi si sono giustamente preoccupati di studiare meccanismi che consentissero di ricostruire l’effettiva ricchezza di ciascuno attraverso il ricorso ad indicatori di capacità contributiva, conosciuti come studi di settore e redditometro, nonché di spesa, che, invece, vanno sotto il nome di spesometro. Siffatto modo di procedere rende più incisivi e puntuali i controlli, fungendo da deterrenti nei confronti di chi matura strane idee nel momento in cui si accinge a compilare la propria dichiarazione dei redditi.

È doveroso sottolineare che, benché la Banca d’Italia abbia messo in luce problematiche di non facile risoluzione, ciò non implica che nella lotta all’evasione fiscale si uscirà certamente vinti, anzi, se si è fatto poco dal lato della prevenzione, grossi risultati sono stati raggiunti sotto il profilo del contrasto e della repressione, restituendo alle casse dello Stato gettito ormai andato perso.

La strategia messa in atto dallo Stato si articola su tre diverse tipologie di iniziative, consistenti, in primo luogo, nella costruzione di un data base più completo attraverso una più efficace raccolta di informazioni, resa possibile imponendo la tracciabilità nelle transazioni commerciali di importo pari o superiore a €. 1.000,00 nonché nel settore dell’edilizia, abolendo il segreto bancario, ricorrendo a sofisticati strumenti di indagine.

I dati e le notizie di cui si giunge in possesso vengono, poi, sottoposte ad elaborazioni che conducono verso risultati puntuali e significativi. Pertanto, ecco così l’altra area di azioni intraprese per aggredire le entrate sottratte alle casse erariali, sono state messe a punto e progressivamente migliorate procedure, quali studi di settore, redditometro, spesometro, che consentono di far emergere l’incongruità di quanto dichiarato nell’ipotesi di non rispondenza agli standard che siffatte procedure permettono di determinare sulla base della specifica situazione del singolo.

Infine, la fase ultima di questo circolo, la quale a sua volta può rivelarsi funzionale sia alla raccolta che alla lavorazione di informazioni rilevanti, riguarda i controlli che vengono realizzati in forme diverse e in modo più incisivo mediante ispezioni, accertamenti, tutoraggio dei contribuenti dalle grandi dimensioni, coinvolgimento dei Comuni, lotta contra la fuga di capitali (a tal proposito, si utilizza il cosiddetto fiscovelox così chiamato in quanto fotografa le targhe delle auto italiane che transitano da e verso la Svizzera, dove a seguito dello scudo fiscale si è scoperto che risiedevano la maggior parte dei capitali poi rientrati).

L’azione congiunta degli espedienti studiati e praticati dallo Stato ha sortito esiti ragguardevoli, tant’è che, secondo un rapporto reso pubblico dall’Agenzia delle Entrate, dal 2007 al 2011 le somme sottratte al sommerso sono più che raddoppiate.

È, però, doveroso sottolineare che, dal momento che i provvedimenti prima descritti sono di recente concezione, risulta improbabile quantificarne l’impatto e, dunque, l’efficacia, anche perché emerge che gran parte del recupero è avvenuto grazie a comportamenti spontanei ad opera dei contribuenti, i quali hanno preferito ravvedersi e versare il giusto in termini di imposte.

Appare chiaro che la meta rappresentata da una realtà in cui non si evade è ancora lontana da raggiungere, in ogni caso si desidera esaltare i successi intanto ottenuti, ai quali se ne possono aggiungere altri, a parere di chi scrive, non solo prevenendo e contrastando l’evasione ma anche incoraggiando comportamenti che ne siano incompatibili, per esempio rimodulando la spesa pubblica dimostrando che i soldi dei cittadini vengono utilizzati per il miglioramento dei servizi, ridistribuendo ai contribuenti le risorse recuperate attraverso la lotta all’evasione e la riduzione della pressione fiscale, consentendo ai fornitori della Pubblica Amministrazione di essere pagati puntualmente, ma, soprattutto, vincendo la criminalità e la corruzione cause di voragini nelle tesorerie statali.             

                 

Michele Monteforte    

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